La scuola non statale:

Una figlia esclusa ingiustamente dall'eredità

 

Di Mons. Eugenio Corecco

 

 

“ (...) Questi tre poli (la famiglia, la scuola e lo Stato, N.d.r), coinvolti nel processo formativo, sono chiamati ad un’opera di necessaria collaborazione per favorire la crescita complessiva della persona. Tale opera esige il rispetto dei reciproci ambiti di competenza ed impone una piena solidarietà di intenti ed iniziative al servizio dell’uomo. Per questa ragione, il monopolio dello Stato sulla scuola, oltre ad essere un regime paradossalmente illiberale, è ingiusto, perché espropria la famiglia e i gruppi di cui è costituita la società civile di una prerogativa primaria e irrinunciabile: quella di scegliere liberamente – e perciò senza oneri finanziari penalizzanti – il modello di scuola che ritiene più utile per sé e più consentaneo.

Su questo problema, noi siamo ancora fortemente imbevuti di una mentalità che risale al secolo scorso, quando anche il nostro Cantone, seguendo altri Stati europei e altri Cantoni svizzeri, ha reso la scuola obbligatoria e gratuita per tutti. Ciò è potuto avvenire perché, per la prima volta nella storia, l’autorità pubblica ha potuto disporre dei mezzi finanziari necessari, grazie alla generalizzazione delle imposte, prelevate sul reddito e la sostanza di tutti, indistintamente.

Prima, non era obbligatoria, ma esisteva comunque anche da noi, tant’è che nelle parrocchie, anche più piccole, oltre al parroco, c’era spesso un cappellano, con il compito di tenere, appunto, la scuola. Senza contare gli ordini religiosi, che, fin dal Medio Evo, hanno disseminato il nostro Cantone di collegi.

L’obbligatorietà ha segnato, senza dubbio, un grande progresso culturale, dal quale però è nato l’equivoco secondo cui la scuola appartiene allo Stato.

Che abbia potuto instaurarsi questo monopolio è storicamente comprensibile, ma che continui ad esserlo nel contesto europeo attuale, in cui molti Stati riconoscono ben altre libertà di autogestione alle scuole, lo è di meno. Tutti sanno, ormai, che il vero compito dello Stato è quello di organizzare e sorvegliare, non di occupare la scuola.

Con ciò non voglio dire che lo Stato abbia gestito male la scuola pubblica, che in realtà è una scuola dello Stato, ma solamente che, gestendola, ha disatteso il diritto primario delle famiglie e il pluralismo della società, relegando la scuola pubblica non statale in un angolo, senza riconoscere l’attenzione che merita. Da noi la scuola non statale, quella pubblica (gestite da enti di diritto pubblico come le Chiese) e quella privata (gestite da enti o persone private), è come una figlia esclusa ingiustamente dall’eredità. (...)”

 

Estratto della lettera pastorale “L’insegnamento religioso nelle scuole” (1993)